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Articolo: 5 curiosità sugli orologi poco conosciute

Se hai cliccato su questo articolo, c'è un'alta probabilità che tu abbia almeno un effimero interesse per gli orologi e i cronometri, al di là della semplice consapevolezza dello scorrere del tempo e del desiderio di sapere quale sia l’ora esatta. C'è anche la possibilità che tu sia il tipo di persona interessata ad approfondire la conoscenza e il funzionamento degli orologi e dei cronometri, e questo è un bene, perché è esattamente ciò che sta per accadere.

L'orologeria svizzera era originariamente l'alternativa economica

Oggi conosciamo la Svizzera come il cuore pulsante dell'orologeria meccanica, ma come accade per ogni storia che si rispetti, anche la saga dell'orologeria svizzera ha un inizio ben preciso. Prima del 19° secolo, chi avesse desiderato acquistare un orologio, avrebbe optato per esemplari “made in England” o “in France”, a quel tempo due vere e proprie potenze dell'industria, della tecnologia e dell'arte orologiera.

Ma il successo di queste due nazioni ne avrebbe anche causato il declino: più diventavano ricche, più i loro prodotti risultavano costosi e meno le persone potevano permetterseli. E cosa succede quando le persone desiderano qualcosa che non possono permettersi? O continuano a non averla o acquistano un falso.

Ma i falsi non provenivano dalla Cina: no, quello si sarebbe verificato molto tempo dopo. Provenivano da luoghi molto meno remoti. Durante i lunghi e rigidi inverni ai piedi delle Alpi, quando la coltivazione della terra e l'allevamento del bestiame erano quasi impossibili, i contadini costretti in casa si dedicavano alla produzione di componenti per orologi basandosi sui modelli consolidati dell’orologeria francese e inglese. Come è facile immaginare, le Alpi in questione erano quelle del territorio svizzero.

All'inizio gli esemplari prodotti da questa industria artigianale erano scadenti - economici, ma scadenti - e allora andava bene. Tuttavia, successivamente, cominciarono a diventare piuttosto buoni. La rivoluzione industriale aveva praticamente distrutto l'orologeria in Francia e in Inghilterra, a causa del costo eccessivo della manodopera, e gli svizzeri erano pronti a raccoglierne il testimone.

Omega era originariamente il nome di un movimento

Molte aziende orologiere hanno iniziato con un nome non del tutto identico a quello che portano oggi. La Patek Philippe, ad esempio, venne originariamente intitolata “Patek, Czapek & Cie.”, fino al momento in cui Czapek abbandonò l’azienda e Philippe ne entrò a far parte, e tale cambio di nome ha perfettamente senso. La TAG Heuer fu inizialmente conosciuta con il solo nome di Heuer, fino all'acquisto dell'azienda da parte di Techniques d'Avant Garde, ovvero TAG. Quel rebranding potrebbe non aver riscosso molto successo, ma le origini sono ancora evidenti.

A cosa si deve il nome Omega, allora? Come per molti marchi, il nome iniziale è legato a quello del fondatore, un certo Louis Brandt. Una trentina d'anni dopo, quando i figli di Brandt furono abbastanza grandi da entrare nell'azienda paterna, il nome venne mutato in Louis Brandt & Fils, che in francese significa "e figli". Nessun cruccio sulla scelta, che appare del tutto logica e naturale.

Ma Brandt padre non sarebbe vissuto in eterno e, alla sua dipartita, il nome dell'azienda cambiò ancora una volta in Louis Brandt (Louis, dal nome di uno dei suoi figli) & Frére, che significa "e fratello". Tutto ciò va benissimo, ma non spiega l'origine del nome "Omega". Bene, ancora un po’ di pazienza, ci stiamo quasi per arrivare.

Nel 1894, i fratelli rivelarono al mondo un movimento high-tech che fece progredire in modo significativo la precisione, l'affidabilità e l'usabilità degli orologi, oltre a fargli vincere diversi premi e battere numerosi record. Il movimento venne denominato dai fratelli "Omega", dall'ultima lettera dell'alfabeto greco, e avrebbe reso celebre l’azienda. L'azienda divenne a tal punto sinonimo del movimento che, nel 1903, si decise di rinominarla ancora una volta, e in questa occasione fu denominata Omega.

La Rolex è stata fondata in Inghilterra

Chiedi a chiunque di nominare una famosa azienda svizzera di orologi e, quasi sicuramente, otterrai come risposta “Rolex”. L’azienda è riconosciuta in tutto il mondo come l’apice del lusso, è in vetta alla classifica dei marchi di orologi più preziosi ed è considerata come il fiore all'occhiello dell'orologeria svizzera.

L'unica cosa è che... non si tratta di un’azienda svizzera. Sì, il marchio Montres Rolex S.A. venne registrato a Ginevra nel 1920, ma l’azienda venne fondata quindici anni prima, a quasi 1.000 km di distanza, a Londra, in Inghilterra. Il fondatore tedesco Hans Wilsdorf, anglofilo ed esperto distributore di orologi, si trasferì a Londra per collaborare con il cognato Alfred Davis all'importazione di movimenti svizzeri di alta qualità, assemblandoli in loco e vendendoli al pubblico britannico.

Secondo una prassi già consolidata, inizialmente l'azienda portava il nome dei due uomini, ma nel 1908, ancora un decennio prima di trasferirsi in Svizzera, Wilsdorf ribattezzò l'azienda con un nome che riteneva familiare e lussuoso: Rolex.

Tuttavia, la sua avventura britannica non era destinata a durare. Con la Grande Guerra aumentò l'oppressione razziale nei confronti di Wilsdorf, che fu costretto a lasciare l'Inghilterra e a tornare in Svizzera, dove aveva appreso i rudimenti del mestiere. Trasferì lì anche la sede della sua amata azienda Rolex, che da allora è rimasta in Svizzera. Che azienda diversa sarebbe stata se Hans Wilsdorf si fosse sentito in grado di rimanere a Londra.

Il primo orologio impermeabile è stato realizzato 75 anni prima del Rolex Oyster

Ti dice nulla il 1926? Certo che sì, perché è l’anno in cui la Rolex ha annunciato l'Oyster, il primo orologio da polso impermeabile al mondo, che un anno dopo attraversò la Manica al polso della campionessa di nuoto Mercedes Gleitze senza che filtrasse al suo interno nemmeno una goccia d’acqua.

L'Oyster era un tale capolavoro che i gioiellieri lo esponevano in vetrina, immerso in una boccia per pesci; un'abile manovra di marketing che giustamente attirò l'attenzione del pubblico e consolidò l'idea che questo orologio fosse il primo ad essere stato reso veramente impermeabile.

Solo che non lo era. La Rolex, soprattutto nei primi anni, era rinomata per l'uso di un linguaggio arguto per fare affermazioni audaci sui suoi prodotti. È tutto vero, ma basta prestare attenzione a ciò che non viene detto che la verità diventa subito più chiara. Il primo orologio da polso a ricevere un certificato svizzero di precisione cronometrica: assolutamente vero, ma solo perché tutti gli altri presentavano orologi da taschino.

Lo stesso vale per l'Oyster; sì, è stato il primo orologio da polso resistente all'acqua - e la base per il tanto apprezzato Radiomir di Panerai - ma non è stato il primo orologio resistente all'acqua. L'onore spetta a un orologio da taschino in argento realizzato da “Messrs. Pettit & Trappett”, esposto alla Grande esposizione delle opere dell'industria di tutte le Nazioni del 1851, al Crystal Palace di Londra, e indovina un po': era esposto immerso in un globo di vetro e circondato da pesciolini rossi e argentati.

Il tempo scorre in modo diverso a seconda di come lo si osserva

Le aziende specializzate nella produzione di orologi e gli orologiai hanno trascorso secoli a tentare di fissare il tempo alla sua rappresentazione più accurata, sfidando la fisica per creare un meccanismo in grado di fornire una precisione assoluta. Oggi, l’orologio più preciso al mondo, un dispositivo atomico che utilizza un “cubo di gas quantico” e raggi laser per trasformare quella che assomiglia molto all'arma di un cattivo dei film di James Bond in un marchingegno che segna il tempo, non avrebbe perso nemmeno un secondo se avesse funzionato per l'intera durata dell'universo fino ad ora.

Ma c’è un problema, perché la fisica ha ancora un altro colpo insidioso da sferrare: il tempo non è una costante. Ciò significa che il tempo per una persona potrebbe risultare diverso per un'altra e questo vanifica completamente l'idea di un orologio preciso.

Ci sono due modi in cui questo può accadere ed entrambi sono correlati alla velocità della luce. Poiché viaggiare più velocemente della velocità della luce significherebbe arrivare da qualche parte prima della propria apparizione, si teorizza che ci sia una sorta di limite di velocità cosmico, ma questo gioca a sfavore della nostra esistenza così come la conosciamo.

Il primo modo in cui ciò accade è legato alla velocità: in parole povere, il tempo è un fattore della velocità e della distanza, vale a dire che ci vorrà un minuto per percorrere un miglio a sessanta miglia all'ora. Un concetto elementare, ma non quando la velocità della luce vi è implicata. Se una persona che viaggia a sessanta miglia all'ora accende una torcia, i fotoni lasceranno la torcia alla velocità della luce, ma a un osservatore fermo i fotoni non sembreranno muoversi alla velocità della luce maggiorata di sessanta miglia all'ora: rimarranno alla velocità della luce. Poiché la velocità della luce è una costante e la distanza percorsa è fissa, ciò significa che è il tempo a variare.

Il secondo modo in cui il tempo può essere deformato è in prossimità della gravità. La gravità può attirare verso di sé quasi tutto, persino la luce, ma il principio rimane lo stesso: la luce non può essere accelerata verso un corpo dotato di massa che genera un campo gravitazionale a una velocità superiore alla velocità costante stabilita della luce.

Questi principi sono noti come dilatazione temporale e non si tratta di una mera teoria: è un problema molto reale che viene quantificato ogni volta che si utilizza un dispositivo GPS. Poiché i satelliti in orbita attorno alla Terra sperimentano il tempo relativo alla propria velocità e gravità, ogni anno gli orologi di bordo devono recuperare gli 0,01 secondi persi a causa della dilatazione temporale, senza i quali i nostri sistemi di navigazione satellitare non potrebbero funzionare con accuratezza.

La cosa più strana è che questo fenomeno interessa anche l'equipaggio della Stazione spaziale internazionale: una volta ritornati sulla Terra dopo sei mesi trascorsi a bordo, gli astronauti sono più giovani di 0,005 secondi rispetto a come sarebbero stati se fossero rimasti sulla Terra. Hanno viaggiato nel tempo.

La ricerca del tempo rimane una cosa complessa e affascinante, dall'evoluzione dell’industria orologiera alla fisica di fondo che determina il modo in cui lo percepiamo, e ha fornito una moltitudine di sfide agli orologiai nel corso della storia. Che si tratti di competere per lo spazio in un mercato affollato o di negoziare viaggi nel tempo, la battaglia per il tempo perfetto è ancora un universo lontano.

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